L’isola dei senza memoria

Cosa succede al cuore di una persona che, da un giorno all’altro, perde frammenti di vita? Come può quel cuore mantenersi intatto? La protagonista de L’isola dei senza memoria di Yōko Ogawa (Il Saggiatore, 2018) ha visto svanire di anno in anno dalla sua memoria concetti, animali e oggetti: l’isola in cui abita è soggetta a dolorose e misteriose sparizioni.

Come sparisce un “oggetto”? Svanisce nel nulla? No, ma scompaiono dalla mente delle persone tutte le memorie ad esso legate: dal suo nome, al suo utilizzo, alle ricorrenze in cui è stato adoperato. Per esempio, quando “svaniscono” le fotografie, le immagini rimangono nei cassetti e nelle cornici, ma nessuno si ricorda più perché sono state scattate. Persino gli uccelli che volteggiano spensierati nel cielo non significano più nulla per gli isolani:

In piedi vicino alla finestra da cui, insieme a papà, avevo scrutato il paesaggio con il cannocchiale, a volte vedevo avvicinarsi qualche piccolo uccello, ma serviva solo a rammentarmi che per me non aveva più nessun significato. (…)
Il silenzio che riempiva l’aria faceva sembrare che l’intera isola fosse intenta a prepararsi spiritualmente alla sparizione che avrebbe potuto verificarsi l’indomani.

dipinto giapponese

L’isola diventa sempre più vuota, sempre più desolata: gli abitanti imparano a fare a meno degli “oggetti” che non ricordano e si abituano a cambiare mestiere se questo aveva a che fare con le “sparizioni”, ma un buco nero si allarga nel loro cuore. Sono isolati da tutto, prigionieri di un lembo di terra che si fa sempre più vuoto e desolato.

Quando qualcosa “scompare” deve essere distrutta: lo impone la legge. I cittadini “smemorati” vivono all’ombra di una dittatura: soldati in uniforme si assicurano che non resti traccia di ciò che è stato dimenticato. La polizia segreta organizza delle “cacce alla memoria” e perseguita i pochi abitanti che sono scampati all’epidemia dell’oblio.

La protagonista del romanzo, una scrittrice senza nome, non è immune dal morbo della dimenticanza, ma è vissuta a contatto con persone speciali, capaci di non lasciarsi scivolare i ricordi tra le dita: sua madre, una scultrice che è stata portata via dalla polizia segreta, e R, il suo redattore. Entrambi hanno provato ad aiutarla a capire l’importanza degli oggetti perduti, ma lei non è riuscita a colmare il vuoto del suo cuore. Il senso di perdita fa ormai parte della sua anima e dei suoi romanzi:

Ne avevo pubblicati tre, fino a quel momento. Il primo è la storia di un accordatore che vaga tra negozi di strumenti musicali e sale da concerto in cerca del suo amore scomparso, una pianista, facendo affidamento solo sui suoni che le sue orecchie ricordano. Il secondo la storia di una ballerina che ha perso la gamba destra in un incidente e vive in una serra con il suo uomo, un botanico. Il terzo la storia di una ragazza che accudisce il fratello minore, colpito da una malattia che scioglie implacabilmente i suoi cromosomi.

Sono tutti romanzi in cui si perde qualcosa. A tutti piaceva questo tipo di storie.

dipinto giapponese fiori

La donna sta mettendo mano a una nuova storia, il racconto di una fanciulla che ha perso la voce: una vicenda che, attraverso un crudele gioco metaletterario, finirà col rispecchiare il suo destino. L’assenza diventa una presenza tangibile, dolorosa, sia nel romanzo di Yōko Ogawa che nel “romanzo nel romanzo” scritto dalla sua protagonista: la sensazione è quella di stare sperimentando una progressiva apnea, di veder svanire di riga in riga bolle d’aria, d’identità e di libertà.

L’amore per R, costretto a nascondersi in casa sua per sfuggire alla polizia, spingerà la giovane senza nome a tentare di riempire i buchi neri del suo cuore, a provare a scorgere la segreta bellezza di “oggetti” che non significano più nulla per lei. Mentre l’isola continuerà a dissolversi progressivamente, ad andare in cenere, la scrittrice si affiderà al “nonno”, un vecchietto sempre pronto a darle una mano, per tenere al sicuro il suo amato e le “cose” che sua madre ha preservato dalla distruzione.

Qual è il vero significato di questa vigile amnesia che, per certi versi, ricorda la peste di Macondo? Cosa si nasconde dietro l’immagine della misteriosa isola e dei suoi abitanti destinati a svanire pian piano, a sciogliersi come neve al sole? La scomparsa di Horai, dell’antico Giappone cantato da Lafcadio Hearn? Una potente allegoria dell’effetto che la dittatura ha sui cittadini costretti a vivere alla sua ombra? Oppure, semplicemente, una metafora delle intermittenze della memoria umana e dei lutti che aprono una voragine nei nostri cuori? A voi l’ardua sentenza.

Come ne La formula del professore, Yōko Ogawa ha costruito attorno al tema della memoria perduta un mondo domestico ovattato, fatto di piccoli gesti d’affetto capaci di restituire un po’ di dolcezza a una realtà altrimenti insostenibile. L’isola dei senza memoria procede con un andamento lento, lento come la stesura del libro che la protagonista cerca di portare a termine nonostante tutto: le parole si susseguono come pigri fiocchi di neve, depositandosi pian piano, sino a far svanire nel nulla l’isola che hanno evocato.

Per approfondire:

La recensione di Ossigeno d’inchiostro 

L’isola dei senza memoria – Penne d’Oriente 

La recensione di Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri 

6 pensieri su “L’isola dei senza memoria

  1. Devo proprio leggerlo, di suo ho già letto un racconto in “Rose del Giappone” (che ti consiglio, se non l’hai già letto, da reperire in biblioteca o nell’usato perché credo sia fuori catalogo) e mi ha fatto venire voglia di approfondire la sua conoscenza.

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