Il garofano rosso

Alcuni maestri della letteratura italiana, conosciuti più o meno distrattamente sui banchi di scuola, non hanno trovato posto nella mia libreria. Elio Vittorini fa parte di questa schiera di autori “negletti”. L’incontro fortuito con una copia ingiallita e scollata – una frattura che anticipava la natura frammentaria dell’opera – de Il garofano rosso (Oscar Mondadori, 1973) mi ha permesso di iniziare a colmare questa lacuna letteraria.

Nella sua introduzione, il critico Giansiro Ferrata ripercorre la travagliata vicenda editoriale dell’opera giovanile che ha anticipato i capolavori di Vittorini (Conversazione in Sicilia, Uomini e no). Questo talento letterario in fieri non si è potuto sviluppare liberamente: le energie creative dell’autore si sono scontrate con la censura fascista. Se il processo di scrittura de Il garofano rosso fosse coinciso con una fase diversa della storia italiana, la trama del libro avrebbe sicuramente preso un’altra piega.

La narrazione in prima persona del protagonista si alterna a estratti del suo diario e alle lettere dell’amico/rivale Tancredi. Possiamo suddividere il testo di Vittorini in tre atti, in tre parti che corrispondono quasi perfettamente alla ripartizione che si è venuta a creare nella mia edizione “disgiunta”. Il libro si apre a Siracusa dove il giovane Alessio Mainardi frequenta il liceo. Il ragazzo s’innamora di una studentessa più grande di lui, Giovanna, che gli fa dono di un garofano rosso: quell’innocente pegno d’amore, negli anni bui del delitto Matteotti, rischia di tramutarsi in un simbolo sovversivo.

Alessio si trova di fronte alla linea d’ombra che separa l’infanzia dall’età adulta. A sedici anni vuole già diventare grande, vuole bruciare le tappe, ma non ha ancora capito cosa bisogna fare per “diventare uomini”: crede che quel rito di passaggio debba essere segnato dalla violenza, da uno spargimento di sangue. La sua ansia di ribellione lo porta ad avvicinarsi al fascismo, che per lui incarna una rivolta contro i valori tradizionali, contro la borghesia. Alessio e i suoi compagni di convitto, tra cui spicca l’amico-nemico Tancredi, cercano di affermare la loro identità entrando in conflitto con le istituzioni (prima tra tutte la scuola) e con i loro padri.

Vittorini e la prefazione fantasma – Kerbaker

La fine dell’anno scolastico coincide con due delusioni: Alessio viene bocciato; dopo un fugace bacio, Giovanna scompare dalla sua vista. Il giovane lascia Siracusa per fare i conti la sua infanzia, con i suoi ricordi e, soprattutto, con la sua famiglia. Il confronto con il pater familias risolve un enigma sinora rimasto irrisolto: perché Alessio ha scelto di stare dalla parte dei fascisti? La sua è stata una reazione di rifiuto nei confronti del socialismo promulgato a parole, ma negato nei fatti, da un padre-padrone: il signor Mainardi vuole mantenere i suoi operai nell’ignoranza, così da poterli controllare più facilmente.

L’ultima parte del romanzo coincide con il ritorno a Siracusa di Alessio. La sua iniziazione alla vita adulta, un rito di passaggio che sembrava destinato a concludersi con una piena adesione al fascismo o con una presa di coscienza sociale, trova compimento in un bordello. Alessio sposta le sue attenzioni amorose da Giovanna a Zobeida, la donna di malaffare di cui Tancredi si è invaghito. Zobeida ha il fascino del frutto proibito e sembra incarnare il desiderio di fuga verso un mitico altrove: Alessio, in preda al delirio amoroso, perde progressivamente contatto con la realtà.

Da una parte c’è l’angelo, dall’altra il diavolo, come nel gioco che Alessio faceva da bambino:

Un gioco facevano in cui entravo subito, attraverso il ricordo, anch’io. Apparteneva alla mia infanzia più lontana, nel ricordo. Ci si metteva in fila, con la faccia nascosta l’uno sulla schiena dell’altro e si aspettava che due bambine o ragazze passassero. Una era l’angelo che portava in paradiso e una era il diavolo che portava all’inferno. Ma non si sapeva chi fosse l’angelo, chi fosse il diavolo.

La storia con la esse maiuscola, quella di Matteotti e dei fascisti, quella che rischiava di irritare i censori, lascia quindi il posto a un’educazione/diseducazione sentimentale: un fazzoletto sporco di sangue, simbolo di una verginità perduta e della sete di violenza di ragazzi allo sbando, prende il posto del garofano rosso. L’ambito pegno d’amore, un pegno che poteva caricarsi di significati politici, avvizzisce, così come la giovinezza. Resta solo il ben più prosaico fazzoletto, emblema del Tradimento e della conquista di donne viste come corpi da possedere, non come compagne.

Giovanna e Zobeida non sono tanto soggetti autonomi quanto oggetti del desiderio maschile: non conosciamo davvero i loro pensieri e i loro desideri, perché le vediamo sempre e solo attraverso gli occhi dei giovani che le desiderano. Le donne non possono seguire le stesse regole degli uomini, di maschi che pensano di poter stabilire cosa è lecito e cosa no nel gioco dell’amore. L’unica figura che riesce a ritagliarsi una qualche autonomia è Menta, la sorella di Alessio, ma sappiamo che se troverà un innamorato anche lei dovrà rientrare nei ranghi di una società maschilista.

Elio Vittorini è riuscito a fissare su carta le inquietudini che caratterizzano il passaggio verso l’età adulta, l’età dei compromessi e dei tradimenti. La prosa, limpida e scorrevole, de Il garofano rosso è la spia di un talento in fieri. Siamo di fronte a un fiore sbocciato all’ombra della censura, a un testo che merita di essere riscoperto: la storia di Alessio può aiutarci a capire come e perché i germi del fascismo sono riusciti ad attecchire nel nostro paese.

Approfondimenti:

La recensione di Critica Letteraria

Un estratto del libro su Il piacere di leggere

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7 pensieri su “Il garofano rosso

  1. Dell’autore ho letto solo “Conversazione in Sicilia”, ma l’avevo concluso senza sapere bene cosa pensarne, non mi aveva preso tantissimo, lo ammetto. Magari con “Il garofano rosso” potrebbe andare meglio! Le trame mi ispirano sempre, il problema poi è come si sviluppa nel concreto il romanzo.

    Piace a 1 persona

    1. Non ho ancora letto “Conversazione in Sicilia” quindi non ho un metro di paragone.
      Vedi, l’elemento più interessante di questo romanzo è proprio la sua storia editoriale, quindi temo che a livello di trama potrebbe deluderti. Magari, potresti dare un’occhiata in biblioteca. Buone letture!

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