Le pagine di Nell’angolo di quiete, romanzo breve (o racconto lungo, difficile cogliere la differenza) di Eduard Von Keyserling (L’orma editore, 2018), scorrono inesorabili: sin dalle prime righe, il lettore rimane avvinto da una prosa musicale ed elegante. Le virgole dettano l’andamento incalzante di una sinfonia crepuscolare e malinconica: il canto del cigno di un mondo sull’orlo del baratro.
Chi è Keyserling? Il traduttore Giovanni Tateo, nella sua Postfazione, lo descrive come un “narratore di castelli”. Le sue “fortezze” sono abitate da personaggi aristocratici che vedono irrompere agenti esterni, come la storia, nelle loro roccaforti:
La storia, vissuta nel presente come presentimento della fine cui si va incontro talora con rassegnazione, talora opponendo una tanto determinata quanto vana resistenza, è in un certo senso il motore dell’azione, che segue, con logica seriale, percorsi relazionali sempre uguali a se stessi: matrimoni infelici, adulteri altrettanto infelici e vuoti, tentativi di fuga, tutti consumati fra pranzi e cene, scambi di visite, partite di caccia, serate conviviali, passeggiate nei parchi, escursioni nei boschi.
Nell’angolo di quiete venti di guerra si insinuano tra le placide montagne bavaresi, turbando la villeggiatura estiva di una famiglia. Sin dalla prima pagina, cupe nubi si addensano sulla villa di campagna dei von der Ost: il ritrovamento di un soldatino di carta, dimenticato l’anno precedente in un cassetto, preannuncia le battaglie a venire.
Nell’opera le inquietudini destate dalle avvisaglie del primo conflitto mondiale, vanno a sovrapporsi ai turbamenti dell’undicenne Paul von der Ost. La storia ci viene raccontata proprio attraverso lo sguardo di questo bambino, sospeso sulla soglia dell’adolescenza. Paul è abituato a scrutare i visi dei suoi familiari, a cercare di intuirne i pensieri: un filosofo in miniatura, insomma, ma sprovvisto degli strumenti che gli permetterebbero di capire davvero cosa sta accadendo attorno a lui e nel suo stesso cuore. Gli artificiosi ed enigmatici discorsi degli adulti, eredi di una (alta) società al tramonto, sono ancora del tutto estranei al suo mondo di bambino:
«(…) Ci scambiamo parole su parole, e facciamo come se nessuno avesse da portare una croce.» Poi scoppiò in una breve risata: «Sa una cosa? A volte ho come l’impressione che la nostra società somigli a una compagnia di facchini che balla la quadriglia. Ognuno ha la sua valigia sulle spalle, ma continuiamo a ballare e a inchinarci e a fare la châine, fingendo di non vedere i pesanti bagagli che ci schiacciano le spalle».
Irene, la madre di Paul, si rifiuta di guardare al lato triste delle cose: non vuole prendere atto né del peso della vita né di quello della storia, che si fa di giorno in giorno più opprimente. La bella signora preferisce trovare rifugio in graziose frivolezze e nelle parole insinuanti dell’avvenente Hugo von Wirden, un subordinato di suo marito. Il padre del bambino, invece, ci appare come un uomo rigido, tutto d’un pezzo, incapace di amare.
Il figlio di questo genitore ingombrante, kafkiano, può solo essere un sognatore inetto che avverte l’oscurità incombente, ma che non ha le armi per fronteggiarla:
Paul si rannicchiò nel suo cantuccio. Bene così. Ora che stavano lì seduti tutti insieme, si sentiva protetto e al riparo. Il ragazzo avvertiva con particolare intensità l’insicurezza della nostra esistenza, non sapeva dire come o perché, ma intuiva ovunque la presenza minacciosa di forze oscure intorno a sé e a coloro che amava. (…).
Infine giunse il momento di osservare suo padre, un’operazione rischiosa, poiché era facile che gli occhi azzurri come l’acciaio si potessero rivolgere anche in direzione di Paul, con quello sguardo severo, vagamente scontento. Paul sapeva di non piacere a suo padre, non gli piaceva perché era piccolo e deboluccio.

Paul sembra essere un fratello d’inchiostro di Hanno Buddenbrook: è un fragile erede dal temperamento artistico. Questo rampollo delicato non può piacere a un padre rigido e conformista, ossessionato dai conti. L’undicenne è destinato a essere sempre fuori posto, anche quando si trova in mezzo ai suoi coetanei: viene preso in giro a scuola ed è osteggiato dai figli dei villeggianti. Il dispotico Lulu e la sua compare Nandl lo guardano dall’alto in basso e lo considerano un incapace.
A Paul non resta che rifugiarsi nei suoi inquieti pensieri: pondera la distanza incolmabile che lo separa dal padre; si interroga sulle misteriose attenzioni che sua madre rivolge a Wirden; escogita stratagemmi per attirare l’attenzione di Nandl; pensa alla guerra lontana, laggiù. Paul si perde in sogni infantili e in giochi di guerra: scava trincee e “fucila” soldati-bocche di leone, mentre le nubi di tempesta continuano ad addensarsi sul suo illusorio “angolo di quiete”.
Dopo essersi abbandonato alle sue fantasticherie guerresche, il bambino decide di passare all’azione, di compiere un gesto eroico. La sfida che si impone di superare per dimostrare a Nandl il suo valore si rivelerà superiore alle sue forze: la battaglia a cui è chiamato è impari; la linea d’ombra dell’età adulta non può venire valicata troppo velocemente. Paul non potrà spingersi al di là dello spazio crepuscolare in cui si muovono i personaggi di Keyserling, non potrà varcare il confine estremo dove finisce il “mondo dei castelli” e inizia quello della storia:
(…) il suo velleitario tentativo di fuga, per dar prova del proprio coraggio a sé e agli altri, alla ricerca di una realtà che è soltanto il prodotto delle elaborazioni di una fantasia sovreccitata dai turbamenti preadolescenziali che la animano, è in definitiva una conferma dell’inadeguatezza a realizzare quel contatto con il mondo esterno che aveva ispirato l’impresa. Nei risultati, l’atto eroico di Paul non è dunque differente dagli illusori tentativi di fuga che i protagonisti delle «storie dei castelli» tentano di compiere abbandonando il mondo della sicurezza.
Con questa ultima narrazione, Keyserling sembra porre un interrogativo sul senso delle sue riflessioni intorno alla guerra. Se per un verso casi singoli non possono costituire la regola, la loro esistenza non può essere negata. Esistono destini individuali, quelli che in sostanza avevano popolato tutta la sua opera narrativa, per i quali è impossibile soddisfare la vocazione a dare una svolta alla propria vita, persino di fronte alla perturbante verità che l’attualità storica riserva. (Postfazione).
Nota: questo ebook è stato messo gratuitamente a disposizione dei lettori in quarantena da L’orma editore.
Per approfondire:
Un profilo dell’autore sul sito dell’editore
Le vite sbagliate di von Keyserling – Repubblica.it
La recensione de Il giornale (non sono la sola ad aver accomunato Paul ad Hanno)
” romanzo breve (o racconto lungo, difficile cogliere la differenza”
Novella e non ne parliamo più? 😛
Non so perché, ma è un termine in disuso, ma è talmente musicale che mi piacerebbe tornasse a circolare. 🙂
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Alcuni recensori lo hanno usato, ma non mi convinceva: sono strana, lo so ;). Buone letture e buona scrittura!
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No, ci mancerebbe: sono io che sono fissato con le parole meno frequenti: di solito si trova solitamente inglesizzata e legata a graphic… non so perché abbia fatto questa fine.
A ogni modo, se vorrai trasformarti ne “Il verbo scrivere” ti aspetto per una #StorySharing! 😉
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Mi ispira… sarà perché questi in protagonisti inetti mi ci riconosco.
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Da qui non vedo inettitudine, solo tendenza al sogno e sensibilità. P.S. Tu ti cimenti con la pizza, mentre io con la Recco: ce ne vorrà prima di farla venire a dovere ;).
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🙂
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Un po’ il filone anche di Marai o sbaglio?
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Ho letto troppo poco di Marai per dirlo (ammetto la mia ignoranza). Di certo un filone mitteleuropeo di decadenza e di inquietudini.
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E ci siamo in pieno!
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Sai che anche a me è venuto subito in mente il parallelo con il piccolo Hanno? Mi segno questo libro. 🙂
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Lo immaginavo: conosco la tua passione per i Buddenbrook ;). Buone letture!
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