Infinite Jest: le 5 fasi del dolore letterario

Le cinque fasi del “dolore letterario” vissute da una lettrice che credeva di poter leggere impunemente Infinite Jest, il capolavoro di David Foster Wallace (traduzione di Edoardo Nesi, Einaudi, 2016). Povera stolta. Questa non è una recensione: questa è la cronaca di una tragicomica esperienza di lettura.

Fase 1: Negazione

Mentre sto guardando una replica di Only Lovers Left Alive, mi rendo conto che tra i libri di Eve, la vampira bibliofila protagonista del film, c’è un romanzo di cui ho già sentito parlare, ma che non mi sono mai decisa a leggere: Infinite Jest, per l’appunto. Lo prendo come un segno del destino: do una rapida occhiata alla guida alla lettura di Tegamini, e, il giorno dopo, vado a prenderlo in biblioteca.

Il romanzo minaccia di sfondare la mia borsa di tela con il suo dolce peso e mi sta lussando una spalla, ma sono contenta: non vedo l’ora di iniziarlo, di scoprire cosa lo renda così speciale. Viva l’incoscienza: dovrei andarci piano, dovrei prendere in considerazione l’ipotesi di leggere prima le altre, forse meno impegnative, opere di Wallace, invece procedo lancia in resta.

Sì, so che alcuni booklovers si sono arenati a pagina 30, ma sono convinta di poter arrivare sino alla fine di questo tomo. Certo, 1180 pagine, più una quantità imbarazzante di note scritte in un carattere microscopico, non sono uno scherzo, ma, se la trama mi catturerà, fileranno via in un battibaleno. Vero?

Sono pronta per partire alla scoperta dell’America di Wallace: la terra dell’intrattenimento perpetuo e delle dipendenze. Prima di iniziare la lettura, ripasso per l’ultima volta le informazioni che ho raccolto:

  • In un futuro non troppo lontano, gli Stati Uniti hanno “inglobato” il Canada e il Messico, dando vita all’ONAN (Organization of North American Nations).
  • Gli abitanti del Québec non l’hanno presa bene: alcuni separatisti hanno dato vita a un gruppo di assassini/terroristi in sedia a rotelle.
  • Gli anni, invece di essere numerati in modo canonico, sono sponsorizzati: prendono il nome dal prodotto reclamizzato di turno (vedi l’anno dei Pannoloni per Adulti Depend).
  • Questa storia è incentrata sulla cartuccia (sic!) smarrita di un film capace di dare assuefazione: questa “pellicola” spinge gli spettatori a dimenticarsi del mondo reale e dei loro bisogni fisiologici.

Tutto chiaro, perfetto.

Sfoglio le prime 50 pagine: mi tornano in mente alcuni passaggi di Guida galattica per autostoppisti, sarà per l’ironia che pervade ogni riga, sarà per le trovate assurde che si susseguono come fuochi d’artificio. Questo Hal Incandenza, questo ragazzo prodigio dal cervello incasinato, mi affascina: cosa diavolo gli è successo? Non vedo l’ora di proseguire la lettura.

Fase 2: Patteggiamento

La trama si infittisce: continuo a passare freneticamente dalle aule di un collegio, la scuola per tennisti frequentata da Hal, alle stanze di Emmet House, una casa di recupero per tossicodipendenti, e viceversa. I cambi di scena sono repentini: se mi deconcentro per un attimo, rischio di perdere il filo del discorso e di non capire più che diavolo sta succedendo.

Il “cast” di Infinite Jest si arricchisce di nuovi personaggi: ma quanti sono? Cerco di ricordarmi chi è chi e di tenere gli occhi puntati su Hal, il mio punto di riferimento. Non è facile, visto che sono costretta a interrompere continuamente la lettura per consultare le note.

Cerco di tenere duro perché alcuni elementi della storia sono decisamente interessanti e mi ripagano delle pagine psicotiche, dei deliri su ogni tipo di droga (ho già dato con Walter White, grazie). Prendo nota dei passaggi e delle invenzioni geniali che mi invogliano a non gettare la spugna:

  • L’ONAN e la Concavità: l’idea che un’intera area del Nord America sia diventata una discarica, un invivibile immondezzaio ricolmo di rifiuti tossici, è dannatamente attuale. Questo libro è stato scritto più di vent’anni fa, ma da allora nessuno si è preoccupato troppo né dell’annoso problema dei rifiuti, né del cambiamento climatico. Cose che capitano quando si elegge come presidente un ex cantante allo sbando o il Trump di turno…
  • I paragrafi dedicati al povero Hal Incandenza, sorta di Amleto post-moderno e drogato, vessato dal peso di aspettative troppo alte.
  • La conversazione tra Marathe, un assassino in sedia a rotelle, e Steeply, un membro dei Servizi Speciali non Specificati: nel loro dialogo vengono sviscerati i concetti chiave di Infinite Jest. Cosa succede quando una nazione è popolata quasi esclusivamente da individui-bambini, incapaci di pensare con la loro testa, e assuefatti alla caramella-distrazione di massa (droga, alcool, ogni forma di intrattenimento)? L’America è la terra della Libertà, ma cosa significa esattamente questa parola? C’è una differenza tra l’essere “liberi di” e “l’essere liberi da”.

Con voi sempre questa libertà! Per il vostro Paese murato, sempre a strillare “Libertà! Libertà!”

Purtroppo, le pagine che riaccendono la mia attenzione sono intervallate da lunghe digressioni, da paragrafi-fiume e da scenette sin troppo grottesche: ho paura di non riuscire a vedere la fine di questo romanzo…

Fase 3: Rabbia

La Bibbia della rottura di p***e (©Neil Gaiman & Terry Pratchett) è più interessante di tutte queste note, specialmente di quelle lunghe pagine e pagine! Perché diavolo dovrei leggerle visto che sono quasi tutte delucidazioni su vari tipi di droga? Maledizione, David Foster Wallace è un fot***o sadico!

Ma ca**o e rica**o, dov’è andato a finire il punto di questo paragrafo? Finirà mai questo delirio psicotico?

Il realismo isterico e i suoi derivati mi rendono un tantino isterica…

Fase 4: Depressione

Perché sono così stupida? Fior e fior di lettori forti hanno adorato Infinite Jest. Io, invece, non riesco a coglierne appieno la sottile ironia: questo romanzo mi sembra più che altro deprimente.

Non potrò mai vantarmi di aver letto questo libro in pubblico: ho utilizzato la modalità “lettura super-veloce” in più punti, ho ignorato bellamente diverse note e mi sono distratta più e più volte. Perché non sono riuscita a fare “la brava ragazza”, a prendere appunti e a studiare con religiosa devozione quest’opera? Disonore! Disonore su tutta la mia famiglia! Disonore su di me, disonore sulla mia Musa!

Fase 5: Accettazione

Beh, dai, sono arrivata all’ultima pagina: ho perduto parte della mia dignità, ma è fatta. Vorrei assomigliare alla saggia Eve, ma, in realtà, sono molto più simile a quel disastro ambulante di suo marito Adam.

Alla fine della fiera, porto a casa un magro bottino: so di cosa parla questo romanzo, sono riuscita ad apprezzare diversi sui elementi, ma si può dire che lo abbia capito e letto sino in fondo solo al 60%. Dovrò accontentarmi. Alas, poor reader. Mi ritemprerò rileggendo Amleto. Ovviamente, presterò particolare attenzione alla “scena del cimitero”:

I knew him, Horatio, a fellow of infinite jest, of most excellent fancy.

Un paio di informazioni utili per i lettori

Se siete riusciti a uscire indenni dalla lettura di questo mattone (complimenti!), fatemelo sapere nei commenti. Se, invece, vi apprestate a leggerlo, non lasciatevi scoraggiare dalla mia tragicomica esperienza di lettura e date un’occhiata a questi articoli:

La già citata guida di Tegamini

‘Infinite jest’, il capolavoro di Wallace – 900 letterario

L’impeccabile recensione de Le Connessioni

L’angolo del libro: appunti su Infinite Jest – Il mondo urla dietro la porta 

54 pensieri su “Infinite Jest: le 5 fasi del dolore letterario

  1. Ho letto Infinite Jest quest’anno. Ti invito a leggere cosa ho scritto a riguardo sul mio blog. Qui nei commenti c’è poco spazio per un libro come questo! Anche io ho saltato qualche nota, colpa del fatto che l’ho letto in ebook. A distanza di mesi posso dire che è un libro che ti lascia qualcosa dentro con le sue storie e le sue situazioni assurde. Mi è piaciuto tantissimo, lo rileggerei domani.
    PS correggi Incandescenza con Incandenza! Lui In Persona potrebbe non prenderla bene! 😉

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  2. Avevo letto anch’io la guida di Tegamini… anni dopo aver letto Infinite jest. Sì, dalla prima all’ultima pagina. Sì, note e sottonote comprese.
    Mi è piaciuto? Nì: è geniale ed ha alcune trovate fantastiche (ho adorato e ricordo con affetto gli assassini su sedia a rotelle, appunto), ma nel complesso è troppo… complesso, troppo ad immagine e somiglianza, senza freno alcuno, alla mente di Foster Wallace. La quale dà il suo meglio, almeno per quanto mi riguarda, nella saggistica breve.
    Del resto, se ha ritenuto di dover scrivere questo romanzo, così sia.
    L’ho capito? Di nuovo, nì: ne ho capito una grossa parte, ma con fatica, e sicuramente non ci sarei arrivata davvero senza le analisi minuziose di chi me lo consigliò (e regalò), e di altri.
    La parte migliore, forse, consisteva nel riemergere periodicamente nel mondo reale, riaffiorare in un luogo familiare, e sentirsi dannatamente normali al confronto con i frequentatori della Emmett o della Enfield.

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    1. Di sicuro è un libro che spinge a riflettere ed è un “terreno” interessante su cui confrontarsi con altri lettori: ringrazio sia te sia chi ha voluto condividere la sua esperienza di lettura.
      Valuterò se provare o meno a leggere i saggi di Wallace (mi incuriosisce e mi intimorisce allo stesso tempo).
      Buone letture!

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  3. Non è la prima volta che incontro “in giro” questo libro, ma finora non è mai riuscito ad attirarmi abbastanza da decidere di leggerlo. La cronaca della tua esperienza però è stata super spassosa! Hai avuto comunque coraggio a non arrenderti e la perseveranza va sempre premiata. E un 60% è sempre meglio dello 0%, qualcosa ti rimarrà per sempre.
    Di Wallace ho letto solo “Una cosa divertente che non farò mai più”, anche questo pieno di note nelle note, ma essendo molto più breve e calato nel mondo reale la lettura è andata decisamente liscia!

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    1. Sto pensando se provare a dare un’occhiata alle altre opere di questo autore, ma per il momento sono titubante (vorrei ben vedere ;)). Comunque sono contenta di essere riuscita a tirare fuori da questa esperienza un post capace di strappare qualche sorriso :).
      Buone letture e alla prossima!

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  4. Ho letto Infinite jest l’anno scorso senza sapere bene cosa aspettarmi visto che non avevo mai letto nulla di Wallace. Note a parte, ne sono rimasta folgorata e, probabilmente influenzata dai commenti di chi lo aveva già letto (che mente debole!), avevo deciso di ricominciarlo daccapo, ma ne ho riletto solo le prime cento pagine. Neppure io penso di averlo compreso fino in fondo, ma non mi importa! Credo proprio che alcune immagini rimarranno impresse nella mia mente molto a lungo…Complimenti per l’articolo! Argutissimo! 😉

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    1. Credo che confrontarsi con altri lettori e con le loro opinioni sia sinonimo di grande intelligenza, altro che di mente debole: siamo qui per “influenzarci” a vicenda e far girare un po’ di cultura ;).
      Romanzi così complessi si lasciano sempre dietro un alone di mistero e di sicuro non possono venire dimenticati facilmente (nemmeno da chi, come me, ne ha letto solo una percentuale 😉 ).
      Sono davvero contenta che il post ti sia piaciuto <3. Grazie mille e buone letture!

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  5. Bello! Un’esperienza di lettura impagabile, importante e ottimamente restituita! E, non vorrei contraddirti, direi un libro “letto!”
    A rischio di apparire una Cassandra, mi vien da scommettere che riprenderai in mano Infinite Jest. Da quanto scrivi, temo ti abbia contagiato.
    Per me, questo libro è stato una forma di dipendenza, con tutta la fatica che descrivi così bene, ma anche, devo dire, con un’attrazione irresistibile che impediva di lasciarlo (spesso desiderandolo; in un’ambivalenza fortissima). Ripensandoci, direi anche che è stato un libro che, infine, mi ha fatto del bene.
    Se ne hai voglia, da me trovi una – chiamiamola, non lo è – recensione, cui sono arrivata per tappe. Che dice poco, temo.
    Mi ripeto, ma quando dico, e scrivo, che mai mi consolerò per la morte di Wallace, ho in mente questo libro che tuttavia ho letto, per fortuna, dopo “la scopa del sistema”, non per primo.
    Poi, in realtà, devo dire che apprezzo molto ma non amo altrettanto la saggistica di Wallace.
    Non mi consolo pensando a cosa avrebbe potuto seguire a Infinite Jest, a cosa possiamo aver perduto per sempre; e chiedendomi se sarebbe stato “umano” chiedergli altro.
    Se posso, ti consiglierei “La scopa del sistema” che pure, dopo aver letto I.J., potrebbe apparire persino ingenuo.
    Ciao e grazie!

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    1. Grazie a te Ivana per l’attenzione che dedichi a questo sconclusionato blog :).
      Mentre preparavo questo pezzo, ho spulciato tra i tuoi post (non ero loggata) e ho avuto modo di leggere”GAUDEAMUS IGITUR” (lascio qui il link per gli interessati >https://lalibraiavirtuale.com/2015/06/29/gaudeamus-igitur/).
      Ti dirò che avevo un certo pudore a confrontarmi con te, proprio perché avevo l’impressione di non aver letto abbastanza bene questo romanzo.
      La “mia copia” è stata presa in prestito dalla biblioteca, quindi esercita su di me una minore influenza: non so se la riprenderò mai in mano. La tentazione di ritrovare Wallace in altre vesti invece c’è.

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  6. non leggerò Infinite jest e già di questo ti sono grato.
    ma soprattutto ti sono grato per come hai scritto questo brano che è più di una recensione: è onestà intellettuale tinta di autoironia e profonda leggerezza.
    (i libri andrebbero sempre commentati in questo modo)
    ml

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    1. Grazie mille Massimo! Avevo molti dubbi all’idea di proporre una recensione che non è una recensione, quindi sono davvero contenta che tu la abbia apprezzata. Per me è ancora difficile trovare il giusto equilibrio tra la leggerezza e la “pesantezza” dell’approfondimento culturale: continuerò a lavorarci su.
      Grazie ancora per il tuo commento e buone letture!

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      1. Spaventata no, ma diciamo che per il momento non mi sento dell’umore giusto per affrontare una lettura del genere… considera che sto finendo quel mattonazzo di “Guerra e pace” e sono un po’ sfiancata!😆

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      2. Baylee, mi permetto di risponderti perché li ho letti entrambi: credimi, fatto salvo che ognuno ha i suoi gusti e le sue particolarità, IJ è mooolto più “mattone” di G&P. Lunghezza e corposità a parte, il fatto è che non si può leggere davvero Infinite Jest senza assimilare un po’ lo spirito di Foster Wallace, e Foster Wallace era depresso. Mi spiego?

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      3. Sì – scusa, non volevo suonare “maestrina”, è che l’accostamento mi fa ripensare con terrore alla differenza tra lo sguardo felicemente rapito che avevo leggendo Tolstoij e quello catatonico, invece, che avevo leggendo dfw 😁

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      4. Mi permetto anche io di risponderti ;): sì, hai ragione, entrare nella testa di Wallace è più complicato e deprimente anche perché è una testa nostra contemporanea che ci parla di problemi e di inquietudini che, per certi versi, ci toccano da vicino.

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  7. Ho letto Infinite Jest alcuni anni fa, ti dirò che nell’avvicinarlo ero diffidente, pensavo che tutta la venerazione di cui gode David Foster Wallace fosse una sorta di idolatria di massa, pensavo che il libro fosse un mattone terribile, invece mi ha preso. Non mi sono fatta troppo spaventare dalla mole (ho letto Guerra e pace, diavolo!) né dalle note (ho letto anche l’Ulisse), che peraltro sono spesso spassose. E insomma: l’ho trovato divertente, toccante, avvincente e sorprendentemente attuale. Dietro le sue invenzioni e i suoi paradossi parla di noi, del nostro mondo, della nostra vita: la dipendenza, i rifiuti, la competitività, insomma, geniale!

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  10. Alessandro Bottone

    Ho letto Infinite Jest in questa estate 2021, e ho passato tutte le tue fasi, – apprezzandolo, meravigliandomi e detestandolo. Da quando l’ho finito cerco di continuo di confrontarmi con qualcuno che l’abbia letto, e sono sempre su internet a cercare pareri su IJ. Per me, detto papale papale, è sopravvalutato, e già a metà lettura mi dicevo ” quanto gli è mancato a questo libro un editing serio!” … Va bene, alzo le mani, sarà questo postmodernismo … ma attenzione, è definito postmoderno anche Underworld di Don De Lillo, ma che capolavoro, invece. A me IJ sembra, in definitiva, una grande sfida, portata avanti da uno scrittore iper sensibile e geniale ,- e che sapeva davvero cosa è il dolore esistenziale- , un’opera che sfida anzitutto il concetto stesso di romanzo, tentando di ridefinirlo dalle fondamenta per il nuovo millennio, ma non riuscendovi granché. Volendo essere cattivi, direi che il romanzo in quanto tale è, e resta, un’altra cosa e non credo tanto che IJ possa davvero restare come un caposaldo della letteratura dei decenni a venire, essere cioè come un Ulisse di Joyce o una Recherche di Proust sono stati per il Novecento. Ma, a dire il vero, questa previsione nemmeno posso difenderla, perché sono ancora nella fase di post lettura con, detto tra noi, una certa dose di rabbia e irresolutezza che libro mi ha lasciato addosso, come quando ci si impegna tanto e si ottiene uno scarso risultato. In realtà il risultato ottenuto DFW è di egregia fattura, non scherziamo, ma il punto è che tutto poteva essere detto con 3-400 pagine in meno. Quindi nel tuo caso mi appellerei a Daniel Pennac e ai suoi diritti del lettore: leggilo se ti va, se ti riesce, ma sappi che puoi venire fuori anche con una certa dose di frustrazione, frustrazione che gli sforzi di DFW e di noi lettori, credo, non meritano alla fine di un libro.

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    1. Grazie mille per il tuo commento esaustivo e arguto, Alessandro! Direi che hai centrato due appieno due punti chiave: 1) questo romanzo è una sfida 2) non è detto che noi lettori dobbiamo per forza accettarla.
      Da quando l’ho (più o meno) letto, anche io continuo a confrontarmi con altri lettori, quindi mi ha fatto molto piacere leggere la tua opinione.
      Buone letture!

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